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L'ANSIA DA CORONAVIRUS: COME SOPRAVVIVERE A PAURE SCONOSCIUTE

Avreste mai immaginato di ritrovarvi chiusi in casa, come se vi fossero stati imposti gli arresti domiciliari senza mai esser passati da un processo? Sicuramente no, ma tant'è. In queste settimane così assurde ci nutriamo ogni giorno di distanziamento sociale ma anche di sospetto, di paura e di speranza: abbiamo pure imparato a convivere col termine anglofono “Lockdown”, che non è altro che la serrata che il governo ha deciso per il nostro paese nell’estremo tentativo di fermare il dilagare del virus SARS-CoV-2. Ma se le misure restrittive sembrano funzionare, l’impatto sulla psicologia umana di un lockdown è totalmente inedito, anche perché non abbiamo (per fortuna) esperienze recenti nella letteratura di settore. E allora, allo scopo di capire come “gestire” un’ansia nuova e scoprire risorse che non sappiamo di avere, abbiamo fatto una chiacchierata con la psicologa Martina Francalanci. La dottoressa si occupa – tre altre cose – di gestione dell’ansia, di flessione dell’umore e anche delle difficoltà relazionali. Tutte questioni che stiamo tastando  con mano ogni giorno. 


La psicologa Martina Francalanci
Dottoressa Francalanci, quali sono i rischi di una convivenza forzata? 

I rischi di una convivenza forzata sono molteplici, molto dipende dalla situazione "preCOVID" ma non dimentichiamo che ognuno ha risorse inaspettate che emergono nei momenti difficili. Abbiamo purtroppo sentito dell'aumento dei casi di violenza domestica perché per queste donne restare a casa non significa essere al sicuro. Ci sono poi situazioni di coppie già in crisi che riuscivano ad andare avanti ritagliandosi spazi al di fuori del ménage familiare e gestivano il senso di colpa adducendo la responsabilità ai tanti impegni quotidiani. Questa situazione obbliga tutti a guardarsi più dentro e allo specchio, le scuse ad oggi reggono meno.

Una persona giovane, abituata all’estrema libertà, come può gestire una situazione simile?

È importante pensare che ciò che stiamo facendo ci unisce gli uni agli altri. Anche se ci viene imposto, stare lontani non ci isola emotivamente anzi stimola il senso di comunità. Lo stiamo facendo per il bene comune: per la nostra famiglia ma anche per il vicino e per i figli del vicino. È vero che non siamo tutti sulla stessa barca, per alcuni la permanenza su questa barca è meno comoda che per altri ma di fronte alla malattia e alla sofferenza alla fine siamo tutti uguali: abbiamo paura. In linea con questo pensiero ciò che sta accadendo nei reparti psichiatrici degli ospedali: al San Giuseppe di Empoli per esempio si registra il numero più basso di degenti degli ultimi decenni. In momenti di crisi mondiale come quello che stiamo vivendo, chi ha una malattia mentale si sente meno diverso e questo attenua la sofferenza.

I ragazzi  spesso si “isolano” coi loro smartphone, che oggi sono diventati realmente l’unico mezzo di contatto col mondo "di prima". Si può dire che finalmente questi ritrovati tecnologici sono di aiuto? 

 È un po' la rivalsa dei mezzi tecnologici, tanto demonizzati. Tutto può essere pericoloso, dipende come lo si usa. Una volta da qualche parte ho letto che un lapis può essere usato per scrivere o per infilarlo negli occhi di qualcuno. Ecco, penso sia lo stesso con smartphone e pc. È indubbio che adesso ci sia una maggiore probabilità di sviluppare dipendenza o che quelle pre-esistenti si rafforzino, ma alla lunga sarebbe interessante verificare se anche questo comportamento subisce lo stesso andamento delle malattie mentali che ho citato prima: se è normale, nel senso di diffuso, quanto regge nell'attualità? Non dimentichiamoci che le dipendenze sono sempre espressione di un disagio.  Voglio anche ricordare di quelle persone ricoverate in terapia intensiva che hanno potuto salutare i propri cari grazie ad un tablet e all'umanità di medici e infermieri. 

Come si spiega, invece, ad un bambino che dovrà aspettare ancora prima di riscoprire la sua vecchia routine? 

I bambini si adattano al cambiamento più velocemente di noi ma non per questo non sentono le conseguenze. È sempre bene spiegare loro la verità con parole adatte ad ogni età. Alcuni pazienti mi raccontano che i loro figli adesso sono più felici perché passano molto tempo con loro, dandogli un'attenzione diversa e rispettando i loro tempi. Per esempio anche l'acquisizione delle autonomie come vestirsi da soli o allacciarsi le scarpe vengono vissute in un un tempo più adeguato, senza il corri corri che caratterizza la normale vita quotidiana. Questo è uno degli aspetti positivi ma è ovvio che ce ne sono altri come il non poter andare al parco giochi o vedere i compagni di scuola che invece appesantiscono il tutto.

Ci sono dei gesti che possiamo riscoprire per non sentire il peso delle restrizioni? 

Vediamo molte persone che hanno iniziato a cucinare o che lo fanno più di prima. Indubbiamente dedicarsi agli hobby, ai progetti lasciati indietro o mai intrapresi aiuta a vivere momenti di leggerezza e soddisfazione personale. È importante anche non smettere di fare quei rituali quotidiani che permettono di tenere un filo conduttore e sono identitari: qualcuno mi racconta che si trucca comunque ogni mattina, qualcun altro che fa sport. Ritengo importante imparare a godere di ciò che facciamo, questo passa necessariamente dalla lentezza. Possiamo oggi dedicarci con attenzione alle cose che svolgiamo, lo ritengo un privilegio. In questo momento abbiamo i canali più aperti: in linea generale normalmente non abbiamo tempo di sentire l'effetto delle cose su di noi, non riusciamo a stare sul sentire cosa ci smuove dentro ciò facciamo, mentre adesso è tutto amplificato e questo può rappresentare uno degli aspetti positivi. Sicuramente è uno di quegli aspetti che sarebbe bene poter conservare.

Si potrà creare un sentimento di ansia una volta “sdoganate” di nuovo le relazioni sociali? Guarderemo l’altro con sospetto? 

 È probabile che quando potremo tornare ad incontrarci, l'altro sarà fonte di sospetto. Purtroppo stiamo combattendo una guerra in cui il nemico è invisibile, non sappiamo chiaramente di chi avere paura e questo paralizza. Nel giro di poche settimane la vita di tutti è stata stravolta: l'imprevedibilità, la velocità del cambiamento e la mancanza di controllo sono grandi nemici della serenità e grandi alleati dell'ansia.

Infine la domanda da un milione di dollari: ne usciremo migliori?   

 Domanda davvero da un milione di dollari. Credo ci siano situazioni oggettivamente difficili, in cui è molto difficile rimanere positivi. Molte persone sono senza lavoro, secondo un'indagine dell'Ordine degli Psicologi l’emergenza ha aumentato i livelli di disagio psicologico di 7 italiani su 10, soprattutto tra le donne e le persone comprese tra i 35 ed i 54 anni di età. Il 42% degli italiani lamenta problemi di ansia, il 24% disturbi del sonno. Ciò che pesa di più è non potersi relazionare fuori casa. Dire a queste persone che saremo migliori mi stride. Non posso neanche dire che torneremo come prima, perché tutto questo avrà un impatto psicologico che ci cambierà. In meglio? Lo spero. E tutto dipende da quello che decideremo di fare con ciò che abbiamo vissuto e sentito in questo periodo.

*Martina Francalanci è psicologa clinica e forense laureata nel 2011 in Psicologia clinica e di comunità all'Università di Bologna con lode; attualmente si sta specializzando in Psicoterapia Umanistica bioenergetica all'Istituto Psicoumanitas di Pistoia.  Nel 2012 ha condotto un corso di formazione per laureandi e neolaureati all'Università di Bologna sul tema della sua tesi (l'adattamento socio-emotivo dei bambini valutato col Test della Figura Umana) che ha poi approfondito nel 2013 all'Universidade Federal de Rio Grande do Sul a Porto Alegre (Brasile), all'interno del gruppo di ricerca GEAPAP (Grupo de Estudo, Aplicação e Pesquisa em Avaliação Psicológica), di cui è  membro indipendente, grazie ad una borsa di studio conferitale dall'Università di Bologna. Svolge la libera professione a San Miniato (PI), dal 2017 gestisce lo sportello di ascolto psicologico per genitori e insegnanti dell'I.C. Buonarroti (Ponte a Egola, PI) erogando anche la formazione al corpo docente su bullismo e cyberbullismo, comunicazione efficace, BES e DSA, gestione della classe e gestione dei conflitti; dal 2015 al 2019 ha collaborato  con il Centro Aiuto Donna Lilith delle PPAA Riunite di Empoli occupandomi nello specifico, all'interno di un'equipe multidisciplinare, del sostegno psicologico di donne e bambini/e vittime di violenza, prevenzione nelle scuole di ogni ordine e grado, sensibilizzazione, formazione e informazione. Nel 2016 ha seguito un master  in Psicologia giuridica e Criminologia. E' esperta in violenza domestica, abuso psicologico all'interno della famiglia, bullismo e cyberbullismo. E' anche CTU (consulente tecnico d'ufficio) del Tribunale di Pisa e CTP nei procedimenti di affido e separazione. Nel 2018 è stata referente regionale della formazione per Telefono Azzurro: ha lavorato al progetto Non stiamo Zitti per la prevenzione al bullismo e cyber bullismo, al progetto nazionale Generazioni Connesse sulla navigazione sicura e al progetto Dico No al Bullismo. Nel 2019 e 2020 è stata docente nel corso di alta formazione di Psicologia giuridica presso Centro MeMe (Campi Bisenzio, FI). Ed è psicologa del Centro Psicologia Parioli (www.psicologiaparioli.it). 

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