Il lockdown è terminato, siamo nella fase 3 dove le nostre libertà sono tornate (quasi) quelle di prima. Ma il fatto di dover rimanere "prigionieri" a casa ha lasciato degli strascichi evidenti dentro ognuno di noi. Sì, ma quali? Per capirlo meglio mi sono rivolto alla dottoressa Martina Francalanci (nella foto), che avevo interpellato già durante la fase 1. La psicologa si occupa – tre altre cose – di gestione dell’ansia, di flessione dell’umore e anche delle difficoltà relazionali. Tutte questioni che stiamo tastando con mano ogni giorno. L'invito di chi quotidianamente si confronta con tematiche così complesse è di focalizzarsi sul bello che può riservarci il presente. E di imparare a "so-stare".
Dottoressa, quali
sono state le principali conseguenze per i giovani di questi
mesi di lockdown?
Gli
effetti sono stati molto diversi tra loro: dall'accentuarsi dei
disturbi alimentari, all'aumento di ansia e depressione ma anche al
miglior di alcune condizioni. Tutto dipende dalle risorse personali,
dalla situazione preesistenti e dalla rete sociale. Un sondaggio
Eurodap (Associazione europea disturbo da attacchi di panico) ha
osservato come il periodo di quarantena abbia
inevitabilmente modificato i ritmi e le abitudini personali di
tutti e pare abbia innescato in molti giovanissimi una sorta di
ossessione per la forma fisica. Per le ragazze tende alla magrezza
mentre per i ragazzi all'aumento della massa muscolare. Gli
adolescenti hanno anche sofferto per la mancanza della scuola vissuta
come una privazione delle relazioni sociali: a quest'età sono i pari
il punto di riferimento - non più gli adulti - e non potersi
confrontare almeno direttamente ha indubbiamente provocato delle
conseguenze. Inoltre credo che il totale
spostamento della vita in una dimensione virtuale abbia rinforzato
quelli che sono i valori, e quindi gli obiettivi, dei giovanissimi.
Il pensiero pericoloso che si può innescare è il seguente: "se
il tuo business è online, nemmeno una pandemia mondiale può
intaccarti". Ciò significa che i modelli di oggi sono
influencer, blogger, youtuber che per carità, va anche bene, a patto
di fare i conti con la realtà, il talento e ciò che ognuno ha a
disposizione. Questo vale soprattutto per i preadolescenti. Poi per
alcuni miei pazienti ho potuto osservare un miglioramento e azzardo a
supporre che una presa in carico psicologica, precedente al lockdown,
possa essere vista come un fattore di protezione soprattutto rispetto
ad ansia e depressione.
Da dove si riparte per una vita “normale”?
Si riparte da quello che c'è. Mai come oggi è importante vivere, sentire e essere nel qui e ora. Ciò significa dare attenzione a ciò che si sta facendo in quell'esatto istante, liberando la mente, occupandola solo con le sensazioni del presente. Credo davvero ci sia tanto bisogno di imparare a so-stare. Qualche settimana fa una paziente è arrivata in studio con una luce in viso diversa e mi ha detto:"L'altro giorno ero in cucina e stavo facendo il battuto. Solo il battuto. Non ero con la testa a ieri, a domani, alle tante cose ancora da sbrigare. Ho lasciato tutto, sono andata ad abbracciare il mio compagno ed emozionata, sono tornata a fare il battuto". Prendo in prestito il titolo di una canzone di Diodato:"Adesso è tutto ciò che avremo".
Come
si gestisce la paura da contatto sociale?
Più
che paura, vedo nelle persone molta incertezza su come approcciarsi.
È strano non potersi stringere la mano, avvicinarsi e mettere una
mano sulla spalla. È asettico conoscere qualcuno per la prima volta,
anche al lavoro, e salutarsi con la mano e con gli occhi. È una
paura che allontana fisicamente ma non emotivamente, anzi, forse le
persone oggi sentono di più il bisogno dell'altro proprio nella
mancanza di una prossimità corporea.
Si
può pensare di vivere costantemente “ad un metro dagli altri”?
Non
credo sia pensabile, né auspicabile. Conosciamo gli altri attraverso
il nostro corpo: le sensazioni che passano da un contatto, dal
profumo, da una stretta di mano. La mente ci mente, nel corpo invece
risiede una memoria sensoriale spontanea e non condizionata. Il mio
approccio umanistico bioenergetico parte dal corpo per avere accesso
ai contenuti mentali.
Si
è sviluppata nelle giovani generazioni la “consapevolezza” del
rischio? Cosa ci porta a non rispettare le regole (ad esempio
indossare la mascherina)? Egoismo, incoscienza o cos’altro?
La
coscienza si è sviluppata in chi è capace di avvertire il senso di
comunità e di fronte alla paura non ha bisogno di appellarsi a forze
superiori. Per i bambini l'autorità degli adulti conta molto per
cui, se sono stati accolti, guidati e supportati, hanno compreso bene
la situazione e le regole.
Coloro
che non rispettano le regole e negano il rischio hanno una percezione
grandiosa e distorta del Sé, sono individualisti e si sentono
invincibili nutrendo il bisogno di allontanare qualsiasi incertezza
per tenere su un Io, in realtà nel profondo molto fragile. Certe dinamiche non sono presenti, per motivi di sviluppo, nei bambini e
iniziano a formarsi negli adolescenti.
Ci
porteremo dentro per sempre gli strascichi di questo periodo?
Ciò
che mi auguro è che si possano cogliere e utilizzare preziosi dati
empirici del momento come per esempio l'impatto della cultura e della
realtà sulle malattie mentali. Nel periodo del lockdown gli ospedali
psichiatrici hanno avuto un brusco calo dei ricoveri, i pazienti
psichiatrici per caratteristiche del disturbo si sono adatti meglio
alla situazione mentre le nevrosi si sono accentuate; si può dire
quindi che le psicosi erano più "adattive". C'è molto da
riflettere sul concetto di normalità/patologia, sugli aspetti che
influenzato in modo importante la genesi e il mantenimento delle
malattie. Mi viene in mente il film "La pazza gioia", in
particolar modo la bravissima Micaela Ramazzotti che interpreta la
depressione
e la sua demonizzazione.
Come
ne siamo usciti? Migliori, peggiori o diversi?
Sarei
presuntuosa nel rispondere ad una domanda di questa portata: le
conseguenze le vedremo poi. Spero vivamente che ognuno abbia imparato
qualcosa di nuovo, finché si coglie un insegnamento niente è vano o
perduto.
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